Nel 1988 mi sono diplomata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia, presentando una tesi intitolata La Soglia senza Porta: da Jan Van Eyck a Lucio Fontana. I miei relatori erano il Prof. Bruno Corà e il Prof. Aldo Iori. Studiare pittura in un’accademia, nel paese che si professa la culla dell’arte è un’esperienza che consiglierei a tutti. Fa bene all’anima, comunque. Già solo il fatto di incontrare altre persone che arrivano da ogni dove con la testa piena di sogni e di progetti nello stesso luogo incantevole dove ti trovi pure tu, vale la candela, eccome.
Ma durante quei quattro anni di scoperte, accanto a momenti di pura gioia e ispirazione, ci sono anche stati periodi più o meno lunghi di dubbi, di tentennamenti, di grande solitudine; nessuno dei docenti, anche se interpellato, è stato capace di indicarmi qualche sentiero da prendere quando la vena creativa sembrava scomparire nel sottosuolo dell’Essere. Cosa che accade a molte delle persone che fanno della creatività il perno della propria esistenza, ma questo l’avrei saputo e compreso solo molto dopo.
In qualche modo, intuivo che mancava qualcosa di fondamentale nell’insegnamento che mi veniva trasmesso. Inoltre, nelle spaziose aule dell’Accademia c’era molta competizione, tanto sforzo per raggiungere chissà cosa, per chissà quale ragione, e tanta, diffusa e trasversale insoddisfazione. Qualcosa era in gestazione dentro di me, ancora informe e aggrovigliato, che non ero in grado di tradurre in pensieri compiuti. Questo stato di incubazione traspare nell’ultima pagina della mia tesi, che resta come sospesa, incompiuta. È la mia esistenza, dopo l’ultimo punto a capo della tesi, ad averne continuato la stesura; nel capitolo che la Vita sta scrivendo ora dentro di me, finalmente tante domande hanno trovato risposta, e tutti i pezzi del puzzle si stanno ricomponendo in modo sorprendente. Ecco qua la conclusione della mia (ingenua, ma appassionata) tesi:
I due monumenti miniatura mezcala si fronteggiano, immobili ed assoluti; l’uno sembra sussurarci: “Sii chiuso!”, mentre l’altro si fa portavoce dell’apertura.
Ma è proprio vero che siamo di fronte ad una coppia di opposti? Scivolando dall’uno all’altro, l’occhio costruisce un ponte invisibile, e l’anima intuisce che esiste un passaggio tra l’aperto e il chiuso.
L’artista, sempre più consapevole dell’esistenza di tale passaggio, ha accelerato i tempi d’esecuzione del dipinto, assottigliando progressivamente la superficie pittorica, fino a quando in un gesto unico, balenante ed irreversibile ha sfondato l’ultima esile barriera. “Pictures of nothing and very like” [1], dipinti nei quali l’idea del passaggio pone l’artista e lo spettatore, l’uno accanto all’altro, di fronte all’opera, di fronte al mondo, uniti in un atteggiamento di profondo ascolto.
Ecco che quelli che sembravano due opposti inconciliabili divengono due momenti di un unico fenomeno: l’atto creativo si trova sospeso tra essi, in uno spazio ondivago e sfuggente, il luogo stesso del paradosso, dove il pieno e il vuoto possiedono la stessa accecante presenza.
Qui sopra vedete due lavori (acrilico su cartone) intitolati Kai-He Aperto&Chiuso che ho creato ispirandomi ai templi miniatura della cultura Mezcala.
Trovo ora meraviglioso che l’ultima parola scaturita dalla mia mente, ancora ingenua, fosse proprio PRESENZA, che finalmente so essere la chiave dell’atto creativo autentico. Ora so perché ho appeso la citazione seguente sopra lo schermo del computer sul quale sto digitando queste parole; la citazione è di Rupert Spira, ceramista e insegnante di non-dualità:
‘I am like an open window; I make the viewing possible but am not in the view’ [2].
Un vasto spazio abitato da Luce, Quiete e Presenza è stato per me l’‘effetto collaterale’ della pratica del qigong e della meditazione. E ho scoperto che è lo stesso spazio che si apre durante il processo creativo autentico. Due sentieri nel bosco che portano alla stessa soffice radura aperta verso il cielo.
È per questo motivo che questo sito è inteso come punto di raccolta di informazioni e materiale di vario genere sul qigong e sul processo creativo, sulla meditazione e su quella che chiamo l’arte sorgiva. Sono questi i sentieri che percorro ogni giorno da anni, e che posso pertanto offrire a chiunque desideri fare quattro passi insieme a me. Il mio intento è solo quello di condividere, perché vorrei che la gioia e il ritrovato senso della vita che sono i “miei” fossero di quante più persone possibile.
Scriverò in modo più esteso sul qigong, pratica millenaria che mi ha fatto ritrovare la piena salute dopo un grave incidente; in questa pagina mi limito a citare una delle frasi che più mi ha nutrito negli ultimi anni – che è stata il fondamento della mia ricerca personale – e che ho trascritto durante uno degli incontri con il mio indimenticabile insegnante e amico Wang Ting Jün.
Il Qi Gong è lo strumento che ci permette di usare il Corpo per praticare la Percezione, e la Percezione per conoscere il Corpo. La Percezione è un ponte tra il mondo esterno e quello interiore della Consapevolezza. Prima conosci il tuo Corpo, poi attraverso questa conoscenza, Cuore e Mente mutano.
Il termine Consapevolezza, usato da molti maestri di meditazione, ha qualcosa di misterioso e impalpabile, e forse esiste una parola migliore per esprimere quello che è anche un’esperienza che coinvolge tutto l’Essere, nella quale sono sempre compresenti degli ingredienti imprescindibili: amore, bellezza e intelligenza. Potremmo anche chiamarli espansione/apertura, armonia/grazia e significato/trasparenza [3]. Ognuno trovi i sinonimi che preferisce!
L’esperienza di questo spazio aperto, luminoso e armonioso dentro di noi è ALTRA rispetto al vivere quotidiano, che si muove solo partendo dal passato, dal già conosciuto, e che si dipana sotto l’egida piuttosto angusta della mente ordinaria, chiacchierona e spesso tiranna. Karl Gustav Jung la chiamava esperienza ‘numinosa’ [4]. Per usare un’analogia semplice, se la vita di tutti i giorni fosse rappresentata da una città fiorente, l’esperienza numinosa ne sarebbe il giardino più segreto, radioso di colori, fragrante di profumi, offerto al cielo come un altare, radicato alla terra come il più incantevole degli alberi.Un giardino magico, perché l’io di tutti giorni in realtà vi è contenuto: il giardino è sconfinato. Una sorta di oasi fuori dallo spazio e dal tempo, dove i trafelati abitanti della fiorente città potrebbero ritrovare il silenzio e il ritmo naturale del proprio respiro, ogni qual volta lo desiderassero.
Questo giardino interiore meraviglioso, vivo in ognuno di noi, può essere raggiunto seguendo vari sentieri. Come accennavo prima, oltre che con il qigong e la meditazione, ci si giunge anche grazie al processo creativo, di cui l’Arte è solo la punta visibile dell’iceberg, o meglio, vista la natura magmatica e dinamica della creatività, il pennacchio del vulcano.
Nella vita e in queste pagine, a me interessa soffermarmi sull’arte imbevuta di silenzio – creata, cioè, da questo spazio interiore luminoso e impalpabile – poiché è l’unica che possa RIVELARE a chi la guarda, a chi ne fruisce – e a maggior ragione a chi la fa – la presenza dello stesso spazio numinoso dentro di Sé. Non mi schiero contro nessun tipo di arte, proprio in nome della sacrosanta libertà di espressione che mi sta a cuore. Ma diciamo che sono stanca dell’arte-provocazione, dove l’‘originalità’ a tutti costi non scaturisce dall’ ‘Origine’, ma dal desiderio di scioccare o di lusingare l’intelletto più tronfio; sono stanca dell’arte-sottolineatura delle bruttezze e nefandezze di cui noi esseri umani siamo ahimè oltremodo capaci. Per dirla come il compositore inglese John Tavener, ‘ci sono una marea di artisti capaci di mostrarci la via verso l’Inferno’: preferisco l’arte che ci conduce al paradiso. È un punto di vista assolutamente personale. E non posso ignorare i tanti artisti che dedicano il loro prezioso lavoro all’attivismo sociale: scriverò senz’altro almeno un articolo su coloro che tentano, ad esempio, di sensibilizzare le coscienze su quanto accade oggi, tra di noi, ossia l’inarrestabile ondata di rifugiati che fuggono paesi devastati da guerre e cataclismi.
True art comes from transparency, not from feelings of isolation, separation or despair’ [5] – Rupert Spira
La mia attenzione, la mia curiosità, non è tanto rivolta al “risultato”, all’opera d’arte in sé, quanto all’Attenzione e alla Scoperta – i bagliori carichi di significato e meraviglia che si accendono tra le sinapsi – di chi fa arte e di chi ne fruisce. Il contenitore ultimo di ogni esperienza umana è infatti la Coscienza, e a me interessa la diafana soglia della Presenza, la ‘porta senza porta’ che si erge quando si è immersi nell’atto creativo o nella meditazione. Il mio più profondo desiderio è che tutti gli esseri umani possano riscoprire la propria innata creatività, perché è uno dei sentieri diretti verso una vita piena, gioiosa e sempre nuova. Solo una vita attenta porta con sé questi doni preziosi, e creare ci rende più attenti, così come essere attenti ci rende più creativi. Un meraviglioso serpente-arcobaleno che si mangia la coda-cometa! Inoltre, il processo creativo e la meditazione sono esperienze, non mere indagini o ragionamenti mentali. Sono radicate nel corpo, ma ci conducono all’Essere.
Mi piace chiamare l’arte che proviene da, e rivela lo spazio numinoso “Arte Sorgiva”, termine che è … sgorgato spontaneamente durante una delle tante conversazioni con l’amico e maestro Wang Ting Jün. Nella teoria che descrive la forma particolare di qigong che ho appreso con lui, lo Xing Shen Zhuang, si parla di Hun Yüan Qi (混元氣) o “soffio vitale primordiale ed indifferenziato”, che sarebbe al contempo l’origine e la trama invisibile di tutto l’esistente. Una sorta di Origine precedente ad ogni concetto, ogni rappresentazione e nomenclatura, ogni manifestazione. Quando si attinge a questa Sorgente, il corpo, le membra e i sensi danzano fluidi, sia nel qigong che nel processo creativo – col pennello in mano, ad esempio, con una macchina fotografica, o con una manciata di creta. Ed è un’esperienza di pura gioia e libertà, la mente è sgombra come un cielo terso. Si tratta a tutti gli effetti di una forma di profonda meditazione.
Quando il respiro si estingue la mente si dissolve, ed entrambi entrano nella Felicità indivisa: questa è la meditazione.” ~ (2.15 Saubhagya Lakshmi Upanishad, o “Upanishad della Dea della Prosperità”)
Sin da ora, ivolgo ad ogni lettore e lettrice un sincero augurio di buon viaggio alla scoperta della meraviglia…
[1] “Dipinti del nulla o di qualcosa di molto simile” Rothko, Possibilities 1, inverno 1947-1948, Oittenborn, New York, Schultz Inc. Publishers, 1947. Citato per esteso in L’Arte Moderna – Enciclopedia Fratelli Fabbri Editori, Correnti Contemporanee II, vol. XIII. Questa frase è in realtà a sua volta una citazione della critica, non proprio favorevole, attribuita all’artista e saggista William Hazlitt, che egli rivolse agli ultimi lavori di William Turner.
[2] “Sono come una finestra aperta; rendo possibile il vedere, ma non sono nella veduta”.
[3] Oppure unità, simmetria e verità, citando il critico John Ruskin in un suo testo su William Turner, (personalmente, sono “etimologicamente” un po’ allergica alla parola verità…)
[4] Numinoso era per Jung una “qualità di un oggetto visibile o l’influsso di una presenza invisibile che causa un particolare cambiamento della coscienza“.
[5] “La vera arte viene dalla trasparenza, non da sentimenti d’isolamento, separazione o disperazione”. Da: Daphne Astor’s conversation with Rupert Spira on “Consciousness and the Role of the Artist.” Intervista riportata per intero in lingua inglese.